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Iraq, non solo morte e distruzione. Storie di amicizia tra cristiani e musulmani. Iraq, non solo morte e distruzione. Storie di amicizia tra cristiani e musulmani, che rischiano la vita per aiutarsiAltro
Iraq, non solo morte e distruzione. Storie di amicizia tra cristiani e musulmani.

Iraq, non solo morte e distruzione. Storie di amicizia tra cristiani e musulmani, che rischiano la vita per aiutarsi

Famiglie di musulmani che nascondo i cristiani perseguitati. Cristiani che accolgono sciiti, turcomanni o shabak in fuga dalle violenze. Esempi di coraggio popolare in un paese che l’Is «vuole trasformare in una giungla»

Articolo tratto dall’Osservatore Romano -
Baghdad, 22. Musulmani che aiutano cristiani, sfidando le rappresaglie dallo Stato islamico, e cristiani che accolgono sciiti, turcomanni o shabak in fuga dalle violenze: accade anche questo nello sconvolgente scenario iracheno segnato da atrocità e persecuzioni. Oltre alla guerra, «nel nord dell’Iraq c’è anche una grande solidarietà interreligiosa», afferma monsignor Yousif Thomas Mirkis, arcivescovo di Kerkūk dei Caldei. Il presule riferisce di episodi concreti di generosità avvenuti sia nella Mosul occupata dai combattenti sunniti dello Stato islamico sia nelle altre città storicamente multietniche e multiconfessionali del nord dell’Iraq.
Ad As-Sulaymaniyah, ha dichiarato il presule all’agenzia Misna, «vivono anche cinquanta persone in una stessa casa perché tante famiglie, musulmane e cristiane, hanno aperto le porte a chi fuggiva dalla violenza». La maggior parte dei profughi ha raggiunto la regione autonoma del Kurdistan, il capoluogo Arbil o i distretti al confine con Siria e Turchia. Ma duecentocinquanta famiglie sono arrivate anche a Kerkūk e cinquecento ad As-Sulaymaniyah, verso la frontiera con l’Iran. «Sono parte — spiega ancora l’arcivescovo caldeo — delle circa 130.000 persone che a inizio mese hanno dovuto lasciare tredici cittadine e villaggi dell’area di Mosul». Nella grande maggioranza sono cristiani, ma ci sono anche esponenti di altre minoranze etniche e religiose. Come i turcomanni, residenti da secoli in centinaia di città e villaggi dell’Iraq. E come gli shabak, considerati "fratelli" degli yazidi. O come gli sciiti, maggioranza nel sud dell’Iraq ma sempre più a rischio di fronte all’avanzata dello Stato islamico. «A Kerkūk — afferma monsignor Mirkis — ne stiamo assistendo circa cinquecento, accogliendoli nelle chiese e procurando tutto quello che serve». Questi profughi sono giunti per lo più dai monti Sinjar e dalla città di Tal Afar.

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